Quarto giorno a Venezia82, con due vincitori del Leone d’oro. Il primo è il messicano Guillermo del Toro (“La forma dell’acqua. The Shape of Water”, 2017), che presenta la sua personale rilettura di “Frankenstein” dal classico della letteratura inglese firmato Mary Shelley. Interpretato con grande intensità da Oscar Isaac e Jacob Elordi, il film è un potente e suggestivo viaggio dal buio alla luce, dalla presunzione dell’uomo di poter vivere senza Dio al suo riscattarsi grazie al perdono. Un’opera dall’elegante messa in scena, puntellata dai consueti riferimenti gotici, che risplende per la linea di racconto originale, fosca e struggente, abitato da un respiro spirituale diffuso. Al Lido torna anche Gianfranco Rosi (“Sacro GRA”, 2013), che con “Sotto le nuvole” offre un raffinato sguardo sulla città di Napoli a partire dal suo rapporto con il Vesuvio, tra reverenza e timore. Un film che esplora gli angoli della città, ma anche i tornanti dell’animo umano, della comunità partenopea, tra folclore e dolente attualità.
“Frankenstein” – Concorso Venezia82
“Frankenstein è un’impresa benedetta, mossa dalla reverenza e dall’amore sia per il mistero che per i mostri”. Guillermo del Toro inseguiva da tempo questo progetto sulla creatura, sul mondo, inventato da Mary Shelley a inizio ‘800. Il film è una bella sorpresa nel Concorso di Venezia82, capace di spiazzare e conquistare. Targato Netflix, sceneggiato dallo stesso del Toro, non è solamente un grande racconto epico dalle consuete sfumature dark, ma è anche l’acuta e visionaria rappresentazione del deragliamento dell’uomo quando pensa di poter manipolare la scienza, profondando la vita e respingendo ogni traccia di Dio. La parabola, capovolta di un uomo accecato dalla brama di conquista, che appassisce nel suo ego e nelle sue ambizioni. Ottime le interpretazioni di Oscar Isaac e Jacob Elordi, insieme a quelle di Christoph Waltz e Mia Goth. Sarà su piattaforma a novembre 2025. La storia. Artico, Victor Frankenstein viene trovato gravemente ferito da un gruppo di marinai bloccati con la loro nave tra i ghiacci. L’uomo è in fuga da una minacciosa creatura dalla forza sovraumana. Messo in salvo, Victor racconta la sua storia, il suo passato da brillante medico e il suo desiderio, la sua ossessione, di poter controllare la vita umana. Ha plasmato una creatura mostruosa che ora gli dà la caccia.

“Il capolavoro di Mary Shelley è pieno di domande che mi bruciano dentro l’anima: domande esistenziali, tenere, selvagge, senza scampo”. Il regista messicano del Toro (suoi “Il labirinto del fauno”, 2006; “La forma dell’acqua. The Shape of Water”, 2017; “Pinocchio”, 2022) come di consueto predilige copioni dal background dark-gotico, abitato da creature fantastiche e da mostri; accostandosi all’opera di Shelly, a lungo nei suoi pensieri, ha trovato una chiave narrativa inaspettata e profondamente spirituale. Mettendo in scena la parabola dell’uomo di scienza acceso dal desiderio di sostituirsi a Dio, di poter controllare le leggi della vita e della morte, in verità compone un racconto denso e poetico che passa dalle tonalità più fosche alla luce abbagliante. Un’opera che parte dalla presunzione di onnipotenza e approda in verità su orizzonti valoriali cristiani di grande vibrazione, rimarcando la centralità del perdono e della misericordia. Qui la vera novità non è il percorso che compie l’uomo, Victor, schiavo dell’ambizione e precipitato in una vertigine di rimorsi e sofferenza, in cerca di una possibilità di espiazione. A occupare il centro della scena è il cosiddetto mostro, che compie un percorso di accettazione di sé, superando il trauma di essere un corpo frutto di esperimenti ciechi, abbracciando l’idea della dignità della vita nonostante tutto. Un traguardo di consapevolezza reso possibile dal coraggio del perdono, quello che disinnesca il desiderio di vendetta e apre alla pacificazione dell’animo. E alla fine ci si accorge che del Toro rende le creature mostruose più umane degli esseri umani, meno corrotte, capaci di amare e provare misericordia.Un film dall’apparato formale prezioso – scenografie, costumi, musiche quelle di Alexandre Desplat –, che brilla soprattutto per la regia di del Toro e per la sua vis narrativa giocata tra fantastico e poetico, con un sorprendente afflato di spiritualità. Complesso, problematico-poetico, per dibattiti.
“Sotto le nuvole” – Concorso, Venezia82
I suoi documentari hanno conquistato critica e pubblico per realismo, linea di racconto e poesia visiva. Con “Sacro GRA” ha trionfato alla Mostra del Cinema nel 2013, con “Fuocoammare”, il racconto del dramma dei migranti nel Mediterraneo, ha vinto l’Orso d’oro a Berlino nel 2016. Ha offerto anche uno sguardo acuto e dolce sui dieci anni di pontificato di papa Francesco nel film “In viaggio” del 2022. Ora Rosi con “Sotto le nuvole” torna in gara a Venezia82 cimentandosi nel ritratto della città di Napoli, cogliendone bellezza culturale, paesaggistica e del tessuto umano. Un documentario realizzando con un elegante bianco e nero, pedinando i vari protagonisti in campo a partire da sua maestà il Vesuvio. Prodotto come sempre da Donatella Palermo e Rai Cinema, il film sarà nelle sale dal 18 settembre. La storia. Napoli oggi, sotto al Vesuvio si affolla un’umanità variegata, operosa, spaventata dal continuo agitarsi della terra, tra il vulcano e la zona dei Campi Flegrei. A Pompei un gruppo di archeologi giapponesi è a lavoro in una villa romana, nella centrale dei vigili del fuoco si susseguono chiamate di allarme, mentre si lavora alacremente nella pancia di una nave per scaricare il grano ucraino. E ancora un anziano negoziante apre le porte del suo locale a bambini e preadolescenti del quartiere accompagnandoli nello studio…

“Ho girato e vissuto per tre anni all’orizzonte del Vesuvio cercando le tracce della Storia, lo scavo del tempo, ciò che resta della vita di ogni giorno. Raccolgo le storie nelle voci di chi parla, osservo le nuvole, i fumi dei Campi Flegrei. Quando filmo accolgo la sorpresa di un incontro, di un luogo, la vita di una situazione. La sfida del racconto è assecondare l’inquadratura, mentre le storie prendono vita. Il tempo del film è la fiducia di quell’incontro”.Rosi recupera il suo format narrativo collaudato, componendo un dolce e dolente affresco di Napoli, con i suoi tanti “colori” e chiaroscuri. Quello che colpisce di più è lo sguardo sul tessuto umano, ripreso nel vivere professionale e quotidiano: su tutti l’ascolto partecipe dei vigili del fuoco nella centrale operativa, assaliti da chiamate disperate e disperate; ancora il negoziante-maestro che toglie i ragazzi dalla strada e squaderna l’oro la bellezza del sapere, come pure i custodi museali che si prendo cura dei reperti archeologici stipati nei sotterranei che forse non incontreranno mai l’occhio del pubblico. Rosi fa ancora una volta centro, tra osservazione e contemplazione del reale; in “Sotto le nuvole” tornano le specifiche del suo cinema, la forza del suo racconto, la cui unica pecca è forse quella di rimanere un po’ troppo ancorato al suo binario stilistico-narrativo consolidato. Consigliabile, poetico, per dibattiti.