A Venezia82 l’intenso “Elisa” di Leonardo Di Costanzo. Fuori concorso l’animazione “Scarlet”

venerdì 5 Settembre 2025
Un articolo di: Sergio Perugini

Venezia82, nono giorno. In gara il quarto autore italiano, Leonardo Di Costanzo con “Elisa”, drammatico viaggio nei territori della sofferenza di una trentenne rea di omicidio. Un faticoso percorso dal buio alla luce, esplorando le stanze interiori della protagonista abitate da rimossi, rimorsi e verità non dette. A interpretarla una straordinaria Barbara Ronchi in un ruolo controllato, giocato tutto in sottrazione. Il film ha ottenuto il premio cattolico internazionale Signis. Alla Mostra arriva anche l’animazione giapponese “Scarlet” firmata da Mamoru Hosoda (“Mirai”, 2018), animazione di grande suggestione e poesia. Un viaggio epico-esistenziale di una giovane che attraversa la vendetta più bruciante per ritrovare desiderio di vita, d’amore.

“Elisa” – Concorso Venezia82

In punta di piedi. È arrivato in Concorso alla Mostra senza troppo clamore, lasciando però un segno profondo, vibrante: “Elisa” di Leonardo Di Costanzo, intenso dramma psicologico che prende le mosse da una storia vera, dal libro “Io volevo ucciderla” di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali. È il ritratto di una donna neanche quarantenne detenuta in carcere con l’accusa di omicidio, quello della propria sorella. Uno scandagliare l’animo, i tornanti interiori, in cerca di tracce di corruzione del male ma anche di slanci di vita che la spingono a intraprendere un graduale percorso di comprensione ed espiazione. Un film che riafferma con forza l’idea di un cambiamento possibile. Dramma vibrante che poggia sull’interpretazione puntuale, eccellente, di Barbara Ronchi, affiancata da Roschdy Zem, Diego Ribon e Valeria Golino. Il copione è firmato dallo stesso Di Costanzo con Bruno Oliviero e Valia Santella. Il film, prodotto da Tempesta e Rai Cinema, è nelle sale dal 5 settembre. La storia. Svizzera oggi, Elisa è una donna di trentacinque anni, detenuta da ormai da dieci anni in carcere. La condanna è pesante: ha ucciso e bruciato il cadavere della sorella. Elisa però non ricorda, afferma di avere un’amnesia. Al suo fianco è rimasto solo il padre, che le fa visita due volte a settimana. Un giorno Elisa accetta i colloqui con il criminologo Alaoui, che sta facendo delle ricerche. Dagli incontri emerge un dialogo franco, sempre più profondo, che porta Elisa progressivamente a intraprendere un faccia a faccia con se stessa, con le proprie colpe…

“L’idea del film – sottolinea il regista – è nata durante la scrittura e la realizzazione di ‘Ariaferma’, il mio film precedente, e, in un certo senso, ne rappresenta una continuazione. Se ‘Ariaferma’ era un film sulle relazioni in carcere, lasciando fuori campo i crimini commessi dai detenuti, ‘Elisa’ è invece la storia di un percorso interiore, quello di una donna che ha compiuto un atto di estrema violenza”.Per la prima volta in Concorso, Di Costanzo (tra i suoi titoli “L’intervallo” del 2012 e “Ariaferma” del 2021) si presenta con questo film di grande densità tematica, realizzato con una regia solida e accurata, attenta a cogliere le sfumature interiori della protagonista, di tutti i personaggi in campo. “Elisa” affronta il difficile percorso di risalita di chi è precipitato nella vertigine del male, compiendo uno dei reati più atroci: l’omicidio, l’omicidio di un proprio familiare. Il film, con grande controllo, comincia con il diradare la nebbia che avvolge la figura di Elisa, mettendo a fuoco fatti e motivi che hanno instillato in lei il raptus violento. Il film procede sì con passo analitico, ma accorto, lontano dai confini del giallo-crime.Di Costanzo tratteggia un viaggio esistenziale che esplora molte tonalità, dai colori più foschi agli slanci di tenerezza che aprono a un possibile cambiamento, ad accettare di potersi rimettere in partita con la vita, con la società. A ben vedere, in “Elisa” si possono riscontrare persino tracce di un simbolismo religioso: è il ladrone sulla Croce che all’ultimo si aggrappa alla salvezza, alla possibilità di liberarsi dal male.Oltre alla regia di Leonardo Di Costanzo, a imprimere pathos al racconto è il lavoro interpretativo della Ronchi, che abita il dramma di Elisa con attenzione e meticolosità, senza scivolare in toni scontati o melodrammatici. Un film doloroso, acuto, che offre suggestioni di senso, soprattutto in chiave cristiana. Ed è per questo che la giuria del Premio cattolico Signis gli ha attribuito il proprio riconoscimento. Complesso, problematico, per dibattiti.

“Scarlet” – Fuori Concorso, Venezia82

“Mentre assistiamo a conflitti strazianti in tutto il mondo, credo che trovare l’amore e scegliere di vivere insieme, uniti, sia ciò che ci porterà verso una vita migliore”. Così il regista-sceneggiatore giapponese Mamoru Hosoda, che al Lido si presenta Fuori Concorso con l’animazione “Scarlet”, un avvincente dramma epico che ruota su temi universali, di stringente attualità: vendetta, pace e amore. Targato Sony Pictures, il film sarà nei cinema italiani nel 2026 con Eagle Pictures. La storia. Medioevo, Scarlet è una principessa molto amata dal padre. Il re è appena tornato da una campagna bellica e ha occhi solo per la figlia. Il fratello del sovrano ordisce un piano che porta all’uccisione prima del re, per usurparne il trono, e poi all’avvelenamento della giovane. Scarlet così si ritrova in un non-luogo, in un limbo tra la morte e l’aldilà, disseminato da uomini tormentati in cerca di salvezza. Scarlet non si dà pace, desidera solo trovare il modo di vendicare il padre e uccidere lo zio. Nel regno dei morti si imbatte anche in un infermiere che proviene dalla Tokyo contemporanea. Grazie a lui Scarlet fa esperienza di un modo nuovo di rapportarsi con la vita, o con quel che ne resta, riflettendo soprattutto sul “senso” della vendetta…

È un grande racconto epico, che accosta suggestioni nipponiche con temi e valori di matrice universale, da sempre al centro di poemi, tragedie e pagine di letteratura. Scarlet ha perso tutto per la tracotanza dello zio, bramoso di potere, incurante del prossimo, persino dei suoi familiari (non siamo distanti dall’universo narrativo de “Il Trono di Spade”). Scarlet è privata di tutto, persino della sua stessa vita, così in un limbo senza ascisse e ordinate non pensa ad altro che a potersi vendicare. Incede come una guerriera senza sentimenti, la cui unica preoccupazione è la vendetta. Una granitica convinzione che vacilla però incontrando l’umanità varia lungo il suo peregrinare, in primis un infermiere della Tokyo contemporanea. Mentre Scarlet vorrebbe sfoderare la spada con chiunque, l’infermiere è sempre pronto a porgere l’altra guancia e a soccorrere chi è ferito, nemici compresi. La sua è una scuola di umanità, che alla fine fa breccia nella dura armatura di Scarlet. Grazie a lui la ragazza (ri)scopre la tenerezza, quella provata in passato con il padre, e inizia a meditare su perdono e pacificazione. Un’animazione curata e suggestiva, tipica dei canoni espressivi nipponici. Al di là però del linguaggio animato, i temi in campo sono avvincenti ed edificanti per le giovani generazioni, target del film. Un’opera che coinvolge e conquista. Consigliabile, problematico, per dibattiti.

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