Venezia82, sesto giorno di proiezioni. Alla Mostra arriva Marco Bellocchio con la miniserie “Portobello” sulla vertigine giudiziaria che ha inghiottito Enzo Tortora. Un errore che ha infangato e compromesso la carriera, la vita, del popolare conduttore Rai. I primi due episodi – si vedrà solo nel 2026 sulla nuova piattaforma Hbo Max – confermano ancora una volta la grande grinta e qualità stilistico-narrativa di Bellocchio, così come lo straordinario talento interpretativo di Fabrizio Gifuni. In Concorso “The Smashing Machine” firmato da Benny Safdie, che racconta il lottatore statunitense Mark Kerr, una leggenda (dimenticata) delle arti marziali miste. Protagonista Dwayne Johnson (The Rock), che esce dalla comfort zone dei titoli action per misurarsi con inedite tonalità drammatiche. E convince il suo lavoro introspettivo ben corroborato da Emily Blunt, sua partner sullo schermo.

“Portobello” – Fuori Concorso Venezia82
A tre anni dalla miniserie “Esterno notte” (2022) sul rapimento e omicidio di Aldo Moro, il regista-sceneggiatore Marco Bellocchio torna alla serialità con un altro progetto di impegno civile, “Portobello”, raccontando l’incubo in cui è stato precipitato il noto conduttore Rai Enzo Tortora. Bellocchio racconta Tortora come la vittima di un’Italia confusa e volubile, incapace di alzare la voce davanti a un’ingiustizia bruciante. E affida a Fabrizio Gifuni, già straordinario interprete dell’on. Moro, il compito di dare volto al conduttore Rai. Nel cast anche gli ottimi Lino Musella, Barbora Bobulova e Romana Maggiora Vergano. Firmano il copione lo stesso Bellocchio, Stefano Bises, Giordana Mari e Peppe Fiore; la produzione è targata Our Films – Mediawan, Kavac Film, con Arte France, Rai Fiction e The Apartment – Fremantle. I sei episodi da 60 minuti saranno disponibili sulla nuova piattaforma Hbo Max (Gruppo Warner Bros. Discovery) da inizio 2026. La storia. Roma, 1982. Enzo Tortora è uno dei più popolari e amati conduttori televisivi. Il programma “Portobello” è il più seguito della Rai del tempo. Arriva a toccare cifre straordinarie di spettatori (28 milioni in prima serata) con il suo intrattenimento innovativo, leggero e spensierato. Tutti seguono il mercatino televisivo di “Portobello”. E tale successo sarà anche occasione di antipatia e invidia pericolosa: Giovanni Pandico, uomo del boss Raffaele Cutolo della Nuova Camorra Organizzata, quando decide di pentirsi e vuotare il sacco su crimini e gregari di Cutolo, per rivalsa aggiunge anche il nome di Enzo Tortora. Inizia così un incubo claustrofobico per il conduttore, arrestato nella sua stanza d’albergo all’alba del 17 giugno 1983 e condotto in carcere senza alcuna spiegazione…
“Enzo Tortora – sottolinea Bellocchio – è l’Italia di quegli anni, un vincitore, vittima di un inspiegabile errore compiuto da giudici onesti, in buona fede, che combattevano la criminalità, la camorra, rischiando la vita tutti i giorni (a Napoli più di un omicidio al giorno), ma che non vollero vedere, accecati da un’idea missionaria di giustizia, e che, ancora più inspiegabilmente, non vollero riconoscere il proprio errore…”. Allo stesso modo di “Esterno notte”, con “Portobello” Bellocchio ricostruisce un increscioso avvenimento del nostro Paese: la tragedia di un singolo, di un innocente, che diventa emblema di un Paese smarrito, incapace di opporsi e ravvedersi all’errore, alla logica dell’indifferenza. Enzo Tortora è stato vergognosamente accusato, ma soprattutto è stato inascoltato, lasciato a gridare la sua estraneità ai fatti nella sordità diffusa. Magistrati, giornalisti, la stessa Rai o il pubblico che lo seguiva e osannava diventano all’improvviso voci critiche che lo giudicano senza sollevare dubbi. Bellocchio descrive con grande intensità emotiva questo voltare le spalle verso quell’amico televisivo che entrava con il sorriso gentile nelle case degli italiani. Tutto a un tratto viene dipinto come falso, come un traditore. Il regista piacentino picchia duro sulla miopia grossolana nelle indagini, sulle frettolose procedure giudiziarie, ma anche sulla complicità altrettanto ipocrita e misera del mondo dell’informazione, tra stampa, radio e televisione, che ha deciso di sbattere “il mostro” in prima pagina.Bellocchio governa la macchina da presa con piglio solido e grintoso, dimostrando grande maturità e disinvoltura narrativa, persino una freschezza di sguardo che “contraddice” la sua età anagrafica. Ha la saggezza artistica dei suoi 85 anni, ma anche un’energia e una forza narrativa da far invidia a molti autori ben più giovani. A imprimere forza alla miniserie “Portobello” è anche l’interpretazione sentita, meticolosa, di Fabrizio Gifuni: come con Moro, sceglie di muoversi in sottrazione, con eleganza, lasciando emergere però sottopelle una torrenziale inquietudine, tra sofferenza e amarezza.Dalla visione dei primi due episodi, la miniserie dimostra densità tematica e chiara qualità narrativa, un’analisi lucida e appassionata di una bruciante tragedia italiana. Consigliabile, problematica, per dibattiti.

“The Smashing Machine” – Concorso Venezia82
Nel Concorso di Venezia82 si fa notare soprattutto per l’inedita prova drammatica dell’attore da blockbuster Dwayne Johnson (“Fast & Furious”, “Jumanji”). Parliamo del film “The Smashing Machine” scritto, diretto, montato e prodotto dallo statunitense Benny Safdie, opera che punta a riscattare la storia del lottatore Mark Kerr, campione di arti marziali miste e dell’Ultimate Fighting Championship, caduta nel dimenticatoio mediatico. Accanto a Dwayne Johnson la sempre ottima Emily Blunt nel ruolo della compagna Dawn. Il film è targato A24, mentre in Italia sarà nei cinema con I Wonder Pictures. La storia. Stati Uniti anni ’90, il lottatore Mark Kerr partecipa agli incontri internazionali di arti marziali miste a Tokyo, cercando di difendere il suo primato – imbattuto – e di portare a casa un copioso bottino. Accanto a lui la fidanzata Dawn, che lo ricopre di continue attenzioni e ma anche soffocanti apprensioni. In più, i cedimenti del fisico e dell’animo lo spingono a ricorrere agli oppiacei per poter rimanere solido sul ring…

“Mark Kerr – indica il regista – era davvero la Macchina Distruttrice. La sua forza si manifestava anche fuori dal ring, perché aveva una capacità unica di esprimere le emozioni. Una persona bella e complessa che, come chiunque altro, affronta gli alti e bassi della vita (…) solo perché uno sembra l’uomo più forte del pianeta non significa che sia invincibile. I nostri eroi sanguinano come tutti gli altri”. “The Smashing Machine” mette in racconto la storia di campione che, all’apice della carriera, avverte i primi segni di cedimento fisico ed entra in crisi. Tutto si fa difficile, sul ring e in casa, dove si trascina insicurezze e malumori amplificati dalla relazione difficile, marcata da gelosie e incomprensioni, con l’altrettanto fragile Dawn. Il regista Safdie ricostruisce con attenzione la storia di Kerr, approfondendo soprattutto la vertigine della caduta del lottatore, e con l’occasione offre un ruolo che permette a Dwayne Johnson di rimescolare le carte della sua carriera, come attore completo, anche con cifre drammatiche. Una prova che convince, ma che a ben vedere rischia di schiacciare l’intero film. Nel complesso il racconto è interessante, segnato però da inutili lungaggini e dispersioni. Complesso, problematico, per dibattiti.