Sir. Montalbano sì, ma non solo. Abbiamo incontrato Carlo Degli Esposti, che con la sua Palomar (oggi parte di Mediawan) da trent’anni è uno dei più importanti e significativi produttori tra cinema e televisione. Tra i suoi titoli più evocativi: “Perlasca”, “Braccialetti Rossi”, “Il giovane favoloso”, “Volevo nascondermi”, “La vita davanti a sé”, “Call My Agent – Italia”, “Palazzina Laf” e “Il treno dei bambini”. Degli Esposti ha accettato di raccontarsi in occasione del lancio della quarta stagione di “Màkari”, ariosa e spensierata serie Tv giocata tra commedia brillante e giallo-poliziesco in onda su Rai Uno da domenica 19 ottobre. Il produttore si è soffermato anche sul successo senza tempo de “Il commissario Montalbano”, offrendo un ricordo privato dello scrittore-amico Andrea Camilleri nel centenario della sua nascita.

“Màkari”, quarta stagione. Una serie nel segno del buonumore che conquista per il duo Lamanna-Piccionello ma anche per i paesaggi siciliani. Com’è nata?
È un prodotto di cui vado molto orgoglioso. All’inizio ci credevano in pochi, adesso però tutti lo apprezzano. “Màkari” è nata durante il lockdown. Abbiamo lavorato su un prodotto che potesse essere rassicurante, in un momento in cui gli italiani erano sotto una pressione mai vista dal Dopoguerra. Partendo dai romanzi di Gaetano Savatteri, ci è venuta la voglia di realizzare dei racconti spensierati in cui tutti i personaggi sono un po’ “peggio” del telespettatore. Con questa nuova stagione affrontiamo la complessità dell’amore, anche filiale.

Il 2025 è un anno importante per Palomar, dal successo de “Il conte di Montecristo” a “Sara. La donna nell’ombra”, fino a “Duse”.
È l’anno che mi ha dato la possibilità di completare un sogno che avevo da molti decenni. “Il conte di Montecristo” di Alexandre Dumas è il romanzo che ho letto di più in assoluto nel corso della mia vita, trovandone ogni volta dei lati nascosti. L’ho sceneggiato anni fa insieme a Sandro Petraglia e poi ci ho rimesso mano prima delle riprese, sempre con Petraglia e Greg Latter. Inoltre, il regista Bille August è stato fantastico per la lucidità con cui ha governato la serie. “Il conte di Montecristo” è il progetto della mia vita. Ho studiato tutte le trasposizioni, ponderando la soluzione tra film e miniserie; la nostra versione segue il romanzo, nel rispetto della stesura originaria. Negli ultimi anni, in tv, “classico” era diventato un aggettivo dispregiativo, oggi invece sta riemergendo tutta la potenza della classicità, in cui trova spazio l’innovazione. Ancora, “Sara. La donna nell’ombra”: per quattro settimane è stato il prodotto non in lingua inglese più visto su Netflix. E poi il film “Duse”, cui tenevo molto, proprio per il legame con il regista Pietro Marcello. Desidero ricordare anche “Vanina”, con cui siamo tornati su Mediaset, raggiungendo ascolti tra i più solidi: a breve verrà messa in onda la seconda stagione. Stiamo anche producendo “Storia della mia famiglia 2” per Netflix e adattando un bellissimo romanzo giudiziario di Giampaolo Simi per una nuova serie.
Emerge in Palomar una chiara linea etica. Più volte lei ha dichiarato che non le interessa il “fascino” del male.
Ne vado molto fiero. Sarò più povero forse rispetto ad altri produttori che hanno cavalcato quel filone, però non volevo assolutamente cedere. Ad esempio, ho scelto di adattare “La paranza dei bambini” perché volevo raccontare come seguendo schemi negativi si finisca come le api negli incendi, andando incontro al fuoco. Ripeto, non significa non voler raccontare il male, ma non mitizzarlo.

Tra le sue imprese produttive occupa un posto di rilievo “Il commissario Montalbano”, perché è ancora così magnetico?
Siamo stati sinceri nel costruire una macchina intorno a un racconto sulle prime difficilissimo. È una parabola del coraggio. C’è stato anzitutto il coraggio di Andrea Camilleri nel cedere i diritti a un produttore a quel tempo non particolarmente forte. C’è stato, poi, coraggio da parte di Sergio Silva, allora “capo supremo” del cinema e della televisione in casa Rai, nell’aderire a una scommessa apparentemente “anti-televisiva”. Ancora, una parabola del coraggio nell’aver preso un regista, Alberto Sironi, che era fermo da anni dopo aver girato la miniserie su Coppi, perché risultava troppo autonomo e troppo artista. Metà del successo di Montalbano dipende anche dallo scenografo Luciano Ricceri, uno dei più grandi in Italia: era una mente pazzesca, costruiva un mondo. È stato un grande coraggio, inoltre, scommettere su un attore allora esordiente, Luca Zingaretti, che appariva il contrario di Montalbano: è stato Camilleri a individuare le sue potenzialità e ad aderire alla nostra scelta. Tutta questa somma di coraggio e intelligenze ha fatto sì che partissimo con questa impresa folle. Ricordo ancora la prima proiezione che organizzai nella mia stanza insieme a Elvira Sellerio e Andrea Camilleri: io ero in ansia, loro entusiasti. Il primo titolo andò su Rai Due, e fece la media del 24% di share.
Di recente ha dichiarato che vorrebbe (ri)girare Montalbano, è così?
È corretto. Ci penso sempre. E sarà lunga… ma Montalbano è eterno!

Parlare di Montalbano ci rimanda alla memoria di Andrea Camilleri. È corretto dire che lei ha l’opzione produttiva delle sue opere?
Sul mondo letterario di Montalbano, sì ho l’opzione. Confermo… E sarò sincero, su Andrea Camilleri, dalla sua scomparsa, non ho mai voluto dire nulla. Non amo pronunciarmi su questo. Ho scelto di non parlare di ciò che abbiamo fatto o di cosa mi disse. Non ho neanche partecipato alle interviste del documentario Rai, perché per me Andrea è una cosa seria. Avverto forte la sua mancanza. Tutte le mattine ho nostalgia della sua telefonata. E mi manca soprattutto, quando sfoglio il giornale al mattino, il Camilleri civile. In ogni passaggio della vita sociale, politica e sui valori italiani, lui riusciva ad avere uno sguardo molto più ampio dei grandi editorialisti. Arrivava al punto. Dal punto di vista civile ed etico, Camilleri ha fatto delle riflessioni talmente importanti che si equivalgono alla sua produzione letteraria.
Ha mai pensato a un biopic su di lui?
Non sarei in grado, perché Andrea è troppo parte di me. Per fare un biopic serve una certa distanza, e io questa distanza non ce l’ho…