
Presentato alla 15a Festa del Cinema di Roma (2020)
Interpreti e ruoli
Francesco Totti (Francesco Totti), Ilary Blasi (Ilary Blasi)
Soggetto
Racconto pubblico e privato di Francesco Totti, tra sport e famiglia. Dalla biografia del campione, “Un Capitano”, scritto con Paolo Condò, il calcio è il filo rosso narrativo: dagli esordi nella Lodigiani alla carriera nella Roma, dall’estasi per lo scudetto nel 2001 alla vittoria ai Mondiali in Germania nel 2006, passando per le tensioni con l’allenatore Luciano Spalletti, fino a quel 28 maggio 2017 con l’addio al pallone....
Valutazione Pastorale
Non serve essere appassionati di calcio oppure tifare per la squadra della Roma per apprezzare il documentario “Mi chiamo Francesco Totti” diretto da Alex Infascelli. Come si rimane rapiti – pur non capendo nulla di tennis – per “Open”, straordinaria biografia-romanzo sul campione Andre Agassi che ha polverizzato record di vendite (libro scritto a quattro mani con il premio Pulitzer J. R. Moehringer), così ci si emoziona, e non poco, guardando il film sulla straordinaria carriera di Francesco Totti, emblema identitario di una squadra di calcio e (forse) anche di una città. Voce narrante è quella dello stesso Francesco Totti, che assume un ruolo di primo piano anche nella costruzione del racconto insieme al regista. Si parte allora dal principio, dalla famiglia e dal clan degli amici di sempre, i punti fermi nel sistema solare Totti: a loro sono rivolti i continui pensieri e con loro il campione condivide tutto, dalla formazione agli esordi nella Lodigiani, passando poi nella Primavera della Roma e fino alla serie A, neanche diciottenne. Il calcio è di certo il filo rosso del racconto, con tutti gli alti e bassi vissuti fedelmente con la squadra amata: dall’estasi per lo scudetto nel 2001 ai giorni difficili dell’infortunio nel 2006 oppure alle tensioni con l’allenatore Luciano Spalletti; e ancora, le presenze in Nazionale e la memorabile vittoria ai Mondiali in Germania nel 2006. Altro capitolo fondamentale dell’universo Totti è la famiglia che si è costruito da adulto, quella con la conduttrice Ilary Blasi e i tre figli, sempre presenti accanto a lui. Insomma, un flusso di ricordi, istantanee, filmati, aneddoti, curiosità, tra pubblico e privato, fino a quel 28 maggio 2017 con l’addio al pallone al termine della partita con il Genoa, un momento entrato nella storia del calcio italiano. Alex Infascelli è un regista di talento, che sa usare bene la macchina da presa, con una formazione negli Stati Uniti e un eclettismo visivo-narrativo non comune; firma il documentario accettando di condividere molto con lo stesso Totti, senza paura di esserne schiacciato (o di essere a tratti parziale). E il film funziona, e pure molto bene, perché unisce cronaca sportiva e raccordi privati-familiari, tutti marcati da tenerezza e pudore, come pure da quell’inconfondibile carica ironica tipica del campione. C’è tutto nel racconto, soprattutto emerge forte quell’infinito amore per il calcio, per la Roma e la Capitale. Quello è il tratto dominante, cui si sommano il tessuto degli affetti e le riflessioni di un uomo che è pronto a mettere un punto di senso sul proprio passato, su quel maggio 2017, e prepararsi anche a nuove avventure. E questo lo dice chiaramente Francesco Totti, ovvero che la sua storia calcistica è magica, persino benedetta, ma la vita continua e lui è pronto a morderla, condividendola ovviamente con il suo clan di fedelissimi. Un documentario pertanto coinvolgente ed emozionante, che tiene agganciati per oltre 100 minuti con una vigorosa tensione narrativa. Dal punto di vista pastorale “Mi chiamo Francesco Totti” è consigliabile e nell’insieme semplice, adatto per dibattiti sul mondo dello sport.
Utilizzazione
Il film può essere utilizzato in programmazione ordinaria e in successive occasioni per approfondire il tema dello sport, il ruolo della famiglia e il rapporto con i media.