Latitanti o estromessi. I padri raccontati in “Paternal Leave” e “Ritrovarsi a Tokyo”
sabato 17 Maggio 2025
Un articolo di:
Sergio Perugini
I grandi assenti. Sono i padri, la cui “latitanza”, voluta o imposta per legge, genera un vuoto nelle esistenze di figli, vulnerabili nelle fragilità dell’adolescenza. Il senso dell’abbandono detona dolori e sofferenza nell’animo, che si fa fatica ad assorbire. Di questo ci parlando due film in sala. Il primo è “Paternal Leave”, opera prima dell’attrice tedesca Alissa Jung, che dirige il marito Luca Marinelli nell’intensa istantanea di un incontro, il primo incontro, tra un padre riluttante e una figlia adolescente, la giovane Juli Grabenhenrich. Sguardo asciutto e dolente che scandaglia stati d’animo e sentimenti sottopelle. Su un binario narrativo simile anche il film franco-belga “Ritrovarsi a Tokyo” (“Une part manquante”) firmato Guillaume Senez con il sempre ottimo Romain Duris. È il peregrinare tormentato di un cinquantenne francese per le strade di Tokyo alla ricerca della figlia adolescente. Un padre orfano di figlia a seguito della separazione dalla moglie e della legge giapponese che impedisce l’affidamento congiunto. Un’opera malinconica e poetica, che fotografa la “mutilazione” familiare e il bisogno di ritrovarsi.
“Paternal Leave” (Cinema, 15.05)
Un “Kammerspiel sulla spiaggia”. Così la regista-attrice Alissa Jung nel descrivere la sua prima regia “Paternal Leave”, un’opera scritta dalla stessa Jung e che vede protagonista il marito, il noto attore italiano Luca Marinelli (“Martin Eden”, “Le otto montagne” e la serie Tv “M. Il figlio del secolo”). È un viaggio fisico e interiore che compie una giovane adolescente tedesca, che scappa di casa in cerca del padre che non ha mai conosciuto. Sulla riviera romagnola, nel cuore dell’inverno, i due si troveranno a studiarsi, sfidarsi e forse ritrovarsi in un racconto che accosta tonalità plumbee, quelle del cielo che riflette il dissidio interiore dei personaggi, con quelle rosa fenicottero, simbolo della tenerezza di un sentimento atavico che non si può reprimere. L’amore padre-figlia. Protagonisti Marinelli e Juli Grabenhenrich; nel cast anche Arturo Gabbriellini, Gaia Rinaldi e Joy Falletti Cardillo. Una produzione Wildside, Match Factory Productions, Vision Distribution, Sky e Rai Cinema. La storia. Germania, oggi. Leo è una quindicenne cresciuta senza padre. Un giorno, all’insaputa della madre, sale su un treno per Italia. Ha scoperto che sulla riviera romagnola vive suo padre Paolo, un istruttore di surf e proprietario di un chiosco. Quando si trova faccia a faccia con lui esplodono la diffidenza, la rabbia e il dolore tenuti a freno da una vita; a complicare le cose una difficile intensa linguistica…
“Quasi nessuno – rimarca la Jung – riesce a scuoterci e a ferirci così profondamente come i nostri genitori con piccole cose, con singole frasi, ma altresì quasi nessuno può riuscire a darci così tanta stabilità nella nostra vita. Mi interessavano questi due estremi. In ‘Paternal Leave’ racconto quindi la storia di un rapporto padre-figlia molto specifico: due persone completamente estranee l’una all’altra, ma comunque legate dalla genetica, da stilemi sociali, da una mancanza”. La regista perimetra bene il suo racconto, mettendo in scena un viaggio esistenziale di 72 ore tra un quarantenne e una quindicenne, chiamati a ritrovarsi come padre e figlia, a superare le fratture del passato. Da un lato c’è Leo, una ragazza nella tempesta dell’adolescenza, che si muove libera, autonoma dallo sguardo materno. Cresciuta senza padre, quando ne scopre l’esistenza si tuffa da lui in cerca di risposte; non indugia nelle parole, va diretta al punto, asciutta e determinata. Dove è stato in tutto questo tempo? Perché l’ha abbandonata? Perché non l’ha mai cercata? Vuole solo la verità, che riempia sensatamente quel vuoto che si porta dentro.
Dall’altro lato c’è Paolo, un uomo sulla quarantina silenzioso e schivo. Si è appena separato dalla compagna Valeria e fa di tutto per salvare il loro rapporto e crescere insieme la figlia piccola Emilia. L’arrivo di Leo è inaspettato e “disturbante”. Riapre ferite nascoste, accantonate nella memoria. La sua paternità è stata precoce, in piena gioventù, e non si è sentito in grado di accoglierla, di accettarla con maturità e consapevolezza. Da lì la scelta di defilarsi, di volgere lo sguardo altrove, aprendo però una lacerazione sottotraccia.
“Paternal Leave” è un film intenso, franco e poetico che mette a tema il ritrovarsi. Un faccia a faccia senza filtri tra due sconosciuti che sanno di essere legati, di essere padre e figlia, senza però averne mai sperimentato il ruolo. La Jung ha le idee chiare e dimostra sicurezza nella regia; a ben vedere qualche passaggio appare più incerto, “acerbo” o gratuito, ma nel complesso la traiettoria stilistico-narrativa risulta valida. Ottimo il duetto tra Luca Marinelli e l’espressiva Juli Grabenhenrich. Film consigliabile, problematico, per dibattiti.
“Ritrovarsi a Tokyo” (Cinema, 30.04)
Il titolo originale è “Une part manquante”. Parliamo di “Ritrovarsi a Tokyo” diretto Guillaume Senez che esplora il dramma di un padre francese separato a Tokyo, in cerca della figlia quindicenne che non vede da anni. Per la legge giapponese non è consentito un affidamento congiunto; pertanto, uno dei due genitori rischia di rimanere tagliato fuori dalla vita del minore fino al compimento della sua maggiore età. Un’opera che affronta la sofferenza di un padre rimosso, estromesso dal suo ruolo, ma anche di una figlia che si pensava abbandonata, rifiutata dal proprio genitore. Scritto da Senez insieme a Jean Denizot, il film poggia sull’interpretazione convincente del divo francese Romain Duris (“Le nostre battaglie”, “Eiffel”, “I tre moschettieri. D’Artagnan”) insieme alla giovane Mei Cirne-Masuki. Il film è nelle sale con Teodora Film. La storia. Tokyo, Jérôme detto Jay è un padre separato. Francese di nazionalità, si trova in Giappone perché lì vive la sua ex moglie e la figlia Lily di quindici anni, che però non può vedere per scelta della madre e secondo la legga vigente. L’affido non è congiunto. Jay, un tempo cuoco, dopo essersi lasciato andare si è rimesso in carreggiata come conducente di taxi. Un giorno, durante il suo turno, accompagna una ragazza che gli ricorda sua figlia. È proprio lei, Lily. Così decide di usare la sua copertura come tassista per strappare scampoli di quotidianità insieme a lei, per conoscerla meglio, finché però la situazione non sfugge di mano…
“Ritrovarsi a Tokyo” è un film che oscilla tra il dramma esistenziale e il racconto poetico, che descrive il quotidiano grigio di un uomo, Jay, che non ha altre motivazioni nella vita se non poter ritrovare quella figlia che gli è stata “sottratta”. Sua moglie – da cui ancora non è formalmente divorziato – si rifiuta di fargliela vedere e la legge giapponese è dalla sua parte. Dopo aver perso tutto, compreso il suo lavoro da chef, Jay sopravvive prestando servizio come conducente di taxi. Quando casualmente sua figlia Lily sale sul suo taxi, tutto si ferma. È un’opportunità, un nuovo inizio. Jay procede in maniera cauta e prudente, perché non vuole spaventare la ragazza. In pochi giorni fa di tutto per farsi (ri)conoscere e dimostrare che non si è mai sottratto dal suo ruolo. Che non è mai andato via.
Senez compone un film “denuncia” attento e gentile: evidenzia il limbo di smarrimento di tanti genitori in Giappone, stranieri e non, che vengono estromessi dalla crescita dei figli per conflitti coniugali e una “complicità parziale” della legge dello Stato. Un dramma esistenziale e civile condotto con compostezza ed eleganza, puntellato da raccordi descrittivi poetici. Senez, infatti, descrive il vivere quotidiano a Tokyo “rubando” molto allo sguardo incantevole di Wim Wenders in “Perfect Days” (2024), aggiungendo lampi introspettivi sulla relazione padre-figlia. Un film acuto e raffinato, non perfetto nello svolgimento narrativo, ma di certo rilevante e suggestivo. Consigliabile, problematico, per dibattiti.