Serie e miniserie Tv, un “best-of” della stagione 2024-25 da (ri)scoprire

venerdì 15 Agosto 2025
Un articolo di: Sergio Perugini

Agosto è un mese dal ritmo dolce, dove tutto rallenta sia per chi va in ferie sia per chi resta al lavoro. Nella calura estiva si può trovare anche il tempo per recuperare qualche titolo sfuggito durante l’anno. Ecco allora un “best of” delle serie e miniserie più interessanti offerte dalla Tv lineare e dalle piattaforme nel corso della stagione 2024-25.

“Il conte di Montecristo” (RaiPlay)
Gli inglesi sono dei fuoriclasse nella realizzazione di period drama, ma non i soli. Nel 2025 la Rai torna a scommettere sulla tradizione dei grandi sceneggiati in costume con la miniserie “Il Conte di Montecristo”, adattamento del classico di Alexandre Dumas, un’operazione culturale targata Palomar e Rai Fiction. È il viaggio esistenziale dell’eroe tragico Edmond Dantès – l’ottimo Sam Claflin – con la sua parabola di caduta e risalita. A dirigerla il regista danese Bille August, su un copione firmato da Sandro Petraglia, Lorenzo Bagnatori, Eleonora Bordi e Michela Straniero. Il regista governa in maniera solida un racconto di complessità e respiro, portando la sua esperienza maturata sui grandi romanzi del passato (“La casa degli spiriti”, “I miserabili”). La narrazione viaggia spedita, con una chiara tensione narrativa, ben sorretta da un valido cast e soprattutto da una messa in scena accurata, raffinata. Il tema della vendetta è affrontato in maniera attenta e sfaccettata, rispettandone complessità narrativa e risvolti morali, con una formula elegante marcata da poesia. Una serie che vanta un’indubbia qualità visiva e narrativa. Consigliabile, problematica, per dibattiti.

“Dept Q. Sezione casi irrisolti” (Netflix)
Ricorda non poco Sherlock Holmes. È Carl Morck, protagonista della serie Netflix “Dept. Q. Sezione casi irrisolti”, poliziesco inglese creato dallo scrittore danese Jussi Adler-Olsen (Marsilio). Sceneggiatore e regista della serie è Scott Frank (sua è “La regina degli scacchi”); co-regista l’italiana Elisa Amoruso (“The Good Mothers”). Protagonista un incisivo Matthew Goode. Ambientata a Edimburgo, Carl Morck è un detective diffidente e ombroso, scampato all’assalto di un pluriomicida. Il vertice della polizia, pur di liberarsi della sua scomoda presenza, lo mette a capo della neonata Sezione Q. per risolvere casi senza risposte. Ricorda molto gli agenti reietti della serie inglese “Slow Horses” (Apple TV+): “Dept. Q. Sezione casi irrisolti” poggia, infatti, su un gruppo di agenti che la polizia mette ai margini, anzi nello scantinato, perché problematici e dalla difficile gestione. Capofila di questi “scartati” è il misantropo Morck. La serie ha carattere e fascino, un magnetismo plumbeo, un racconto investigativo fosco e intricato, stemperato qua e là dai lampi di umorismo nero. Una serie direzionata a un pubblico adulto, che conquista per complessità e stile, ma anche perché elegge a protagonisti un gruppo di ultimi, di scartati, cui viene concessa una seconda opportunità. Complessa, problematica, per dibattiti.

Sara – La Donna Nell’ombra. Teresa Saponangelo as Sara in episode 103 of Sara – La Donna Nell’ombra. Cr. Alessio Cupelli/Netflix © 2025

“Sara. La donna nell’ombra” (Netflix)
Comparsa su Netflix a inizio giugno 2025, senza troppo rumore promozionale, ha conquistato subito tutti. È “Sara. La donna nell’ombra” targata Palomar e ispirata al ciclo di romanzi di Maurizio De Giovanni, adattato sullo schermo da Donatella Diamanti, Mario Cristiani e Giovanni Galassi. La regia è di Carmine Elia (“La porta rossa”, “Mare fuori”), ma vero punto di forza è il cast: Teresa Saponangelo, Claudia Gerini, Flavio Furno e Chiara Celotto. Ambientata nella Napoli di oggi, Sara è un ex agente dei servizi che vive nell’anonimato; non ha più slanci, perché ha perso tutto, in primis l’amore. L’improvvisa morte del figlio trentenne riapre vecchie ferite e spinge Sara a indagare. Efficace e riuscito noir-poliziesco che corre veloce tra atmosfere livide e fosche, puntellato qua e là da lampi di ironia napoletana misti a momenti di pathos. La linea del racconto è stratificata e intricata, svelando episodio dopo episodio livelli di contaminazione tra i personaggi in campo. Vero punto di forza sono proprio i personaggi, tutti adeguatamente sfaccettati, tratteggiati nei chiaroscuri. Su tutti brilla ovviamente Sara, per fascino e complessità. Non è affatto un personaggio scontato o prevedibile: è spigolosa e cinica, non incasellabile nella polarizzazione bene-male. Sa essere trascinante, ironica ma anche tagliente, in equilibrio sul confine tra luce e ombra, senza appartenere all’una o all’altra. Una miniserie ottima, acuta e in alcuni casi anche sfidante. Complessa, problematica, per dibattiti.

“Hanno ucciso l’uomo ragno” (Sky-Now)
Operazione nostalgia anni ’80-’90. A riaccendere il “sentiment” è una riuscita serie targata Sky Studios e Groenlandia, “Hanno ucciso l’uomo ragno. La leggendaria storia degli 883”. A firmarla è Sydney Sibilia che cura la regia (insieme ad Alice Filippi e Francesco Ebbasta). È la lettura in filigrana del mood di quegli anni nella prospettiva della periferia, attraverso la parabola del duo musicale 883, Max Pezzali e Mauro Repetto. A interpretarli Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli. Un racconto che utilizza come direttrici le esistenze dei due giovani, la loro scalata al successo, per descrivere di fatto il sogno di evasione dalla provincia e in generale di un Paese in cerca ancora di quell’ebbrezza vissuta negli anni ’80, che piano piano va sbiadendo. La mano artistica di Sibilia è evidente, si ritrova molto del suo stile di racconto visto in “Smetto quando voglio” e “Mixed by Erry”: una narrazione fresca, veloce, semiseria su note ironiche; e poi atmosfere colorate, brillanti, infarcite di citazioni musicali, culturali e mediali, moda e marketing compresi. Un tuffo nostalgico puntellato di allegrezza, che ha trovato facile presa nello spettatore. Consigliabile, problematico-semplice, per dibattiti.

“Disclaimer” (Apple TV+)
Il due volte Premio Oscar Alfonso Cuarón firma e dirige la miniserie evento di Apple TV+ “Disclaimer” dal romanzo “La vita perfetta” di Renée Knight (Piemme). Un viaggio nella vita di due famiglie accomunate da una tragedia. Protagonisti Cate Blanchett, Kevin Kline, Lesley Manville e Sacha Baron Cohen. “Disclaimer” scandaglia i traumi interiori dei protagonisti, strattonati da verità e menzogne, dubbi e insicurezze, ricordi imperfetti e rimossi dolorosi. Tra i temi in campo c’è la verità e la verifica dei fatti, come pure l’ascolto e il dialogo in casa, la custodia dei rapporti moglie-marito, genitori-figli. Un racconto che abita i silenzi e i rimossi delle due famiglie, sottolineando l’incapacità di elaborare il lutto per la perdita di un figlio e al contempo il “lutto” per la fine di un matrimonio. “Disclaimer” segue una traiettoria apparentemente lineare, che però subisce contraccolpi e sviamenti, per arrivare a un colpo di scena finale che suscita sorpresa e riflessione, ma anche perplessità. Regia, stile e interpretazioni risultano ragguardevoli e raffinati. Complessa, problematica, per dibattiti.

Adolescence. (L to R) Christine Tremarco as Manda Miller, Stephen Graham as Eddie Miller in Adolescence. Cr. Courtesy of Ben Blackall/Netflix © 2024

“Adolescence” (Netflix)
È il titolo più visto su Netflix nella prima metà del 2025. È la miniserie britannica “Adolescence” ideata dallo sceneggiatore Jack Thorne e dall’attore Stephen Graham, con la regia di Philip Barantini. Servendosi di una cornice poliziesca, la serie mette a tema il cortocircuito comunicativo tra genitori e figli adolescenti, su cui piomba lo sconforto di un dialogo disperso. Quattro episodi di circa un’ora, tutti realizzati come unico piano sequenza, un pedinamento del reale sulla scorta della lezione neorealista. “Adolescence” mette a fuoco la stagione più delicata della crescita, un territorio spesso sconosciuto ai genitori, che non riescono a cogliere tutto quel vortice di fragilità e rischi cui sono esposti i ragazzi, tra realtà e dimensione digitale. La serie scoperchia anche il vaso di pandora di un tredicenne, all’apparenza timido e dai lineamenti puliti, che però sui social si lascia contaminare da cyberbullismo e sottocultura “incel”. Un racconto duro, senza filtri, non poco claustrofobico, che conquista per qualità, stile e densità. Uno specchio deformante, o “semplicemente” riflettente, di una condizione sociale da non sottovalutare. Complessa, problematica, per dibattiti.

Il Gattopardo. Benedetta Porcaroli as Concetta in episode 102 of Il Gattopardo. Cr. Caterina Zavaglia/Netflix © 2024

“Il Gattopardo” (Netflix)
Un vibrante viaggio nella Sicilia sontuosa e rivoluzionaria di fine ‘800. È “Il Gattopardo”, miniserie targata Indiana Production e Moonage Pictures, diretta dal britannico Tom Shankland – gli altri registi Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti – e scritta da Richard Warlow. Protagonisti Kim Rossi Stuart, Benedetta Porcaroli, Deva Cassel e Saul Nanni. Sul tracciato del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la miniserie offre un racconto che esplora la dimensione del passato con uno sguardo però proprio dell’oggi, fondendo il desiderio di ricercatezza formale e lampi di approfondimento introspettivo per i personaggi in campo. Conquista il centro della scena la figura di Concetta: in lei vivono i conflitti del periodo storico ma anche quelli senza tempo di matrice familiare, tra rispetto delle regole sociali e desiderio di poter scegliere liberamente il proprio destino. La miniserie colpisce soprattutto per la dimensione visiva, per la messa in scena, da cui emerge il grande sforzo produttivo nel voler eguagliare i period drama d’oltremanica (“Downton Abbey”, “The Crown”). Consigliabile, problematico-poetica, per dibattiti.

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