“Il Gattopardo” Netflix, cercando la “Downton Abbey” italiana. Al cinema “L’orto americano”
mercoledì 5 Marzo 2025
Un articolo di:
Sergio Perugini
Non servono confronti con il film di Luchino Visconti. Bisogna fugare subito ogni perplessità. La miniserie Netflix “Il Gattopardo”, che (ri)porta sullo schermo l’epopea risorgimentale di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, sembra rifarsi in termini visivo-estetici ai period drama inglesi, “Downton Abbey” o “The Crown” in testa. Una scommessa importante, che si gioca per un nuovo pubblico, soprattutto estero. Oltre alla messa in scena accurata e a un racconto suggestivo della Sicilia di fine XIX secolo, il racconto governa bene pathos, ritmo e fascino, forte anche di una regia, quella di Tom Shankland, presente e di un cast ben cesellato tra cui Kim Rossi Stuart, Benedetta Porcaroli, Deva Cassel e Saul Nanni. Arriva nelle sale dal 6 marzo il noir-horror gotico firmato da Pupi Avati, “L’orto americano”, scelto come film di chiusura per l’81a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. Con un elegante bianco e nero, è il racconto di un amore struggente di un aspirante scrittore che è chiamato a confrontarsi con i propri fantasmi interiori e gli efferati delitti compiuti nell’Emilia-Romagna al tempo della Liberazione. Protagonista un intenso Filippo Scotti. Anche nei sentieri del brivido Avati mostra uno stile elegante e classico, omaggiando Alfred Hitchcock e il neorealismo.
“Il Gattopardo” (Netflix, 05.03)
“La più grande avventura di Netflix Italia”. Sono le parole di Tinny Andreatta, vicepresidente per i contenuti italiani del colosso streaming, che ben rendono l’idea dell’importante investimento che ruota attorno alla miniserie “Il Gattopardo”, un racconto proteso verso una platea globale realizzato da Indiana Production e Moonage Pictures; la miniserie è diretta per la maggior parte degli episodi dal britannico Tom Shankland – gli altri registi Giuseppe Capotondi e Laura Luchetti – e scritta dall’inglese Richard Warlow. Un vibrante viaggio nella Sicilia sontuosa e rivoluzionaria di fine ‘800, tra ricchi casati, pagine di lotta politica nello spirito risorgimentale e sguardi paesaggistici che schiantano. Un tuffo nel bello, nelle assolate e seducenti atmosfere dell’isola, ma anche un viaggio sentimentale nei tornanti interiori dei protagonisti, nella famiglia del principe di Salina. A interpretarli Kim Rossi Stuart, Benedetta Porcaroli, Deva Cassel, Saul Nanni, Astrid Meloni, Paolo Calabresi, Francesco Colella e Francesco Di Leva.
La storia. Sicilia 1860, soffia un vento rivoluzionario. I garibaldini sono giunti sulle coste e incitano all’unità nazionale. Spettatore (quasi) impassibile è il principe di Salina, don Fabrizio Corbera, che si chiude nella propria dimora insieme alla moglie Maria Stella e ai figli, tra cui la maggiore Concetta, destinata a un cammino religioso. In quei giorni di rifugio, Concetta sperimenta l’amore per il cugino Tancredi, che si è fatto però sedurre dagli echi delle giubbe rosse garibaldine…
“Volevo realizzare una lettera d’amore alla Sicilia – ha dichiarato il regista Shankland –, ma per apprezzare la natura effimera della bellezza bisogna percepire anche il pericolo e il decadimento che si nascondono nell’ombra. (…) In Sicilia, bellezza e morte sono compagne di danza in un affascinante valzer. Questo ‘valzer’ e la tensione tra nostalgia e immediatezza sono stati temi che abbiamo portato avanti”.
Sul tracciato del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, la miniserie offre un racconto che esplora la dimensione del passato con uno sguardo però proprio dell’oggi, fondendo il desiderio di ricercatezza formale e lampi di approfondimento introspettivo per i personaggi in campo. Il racconto seriale certamente offre nuove possibilità creative per motivare il ritorno alle pagine di un romanzo iconico, incastonato nel panorama audiovisivo dall’opera-capolavoro di Luchino Visconti nel 1963.
La formula della miniserie permette di pedinare con più attenzione i personaggi in campo, restituendo la loro sfaccettatura e complessità, a partire dal ruolo di Concetta, affidato alla sempre più brava Benedetta Porcaroli. In lei vivono i conflitti del periodo storico ma anche quelli senza tempo di matrice familiare, tra rispetto delle regole sociali, dialogo con il padre-pater familias e desiderio di poter scegliere liberamente il proprio destino.
La miniserie colpisce soprattutto per la dimensione visiva, per la messa in scena, da cui emerge il grande sforzo produttivo nel voler percorrere gli elevati sentieri realizzativi dei period drama inglesi, un modello di riferimento nel panorama. Come in “The Crown” o “Downton Abbey”, c’è la volontà di ridare una veste elegante, fascinosa e magnetica al racconto storico. In questo “Il Gattopardo” risulta un’operazione riuscita, pronta a muoversi agilmente in piattaforma tra i vari Paesi del mondo con il titolo “The Leopard”. Serie consigliabile, problematica, per dibattiti.
“L’orto americano” (Cinema, 06.03)
“La storia che narro è anche ‘scorrettamente’ una storia d’amore. Una storia d’amore assoluta, dove l’impossibile diventa possibile, come in quel cinematografo che ho sempre amato”. Sono le parole di Pupi Avati, uno dei decani del cinema italiano contemporaneo, commentando il suo ultimo film, “L’orto americano”, il primo che firma in bianco e nero. L’opera riprende la sua passione per il filone gotico, muovendosi in verità nel perimetro narrativo del noir alla Alfred Hitchcock. Il suo è un omaggio anche allo stile narrativo del neorealismo italiano. È il viaggio di un giovane nei fantasmi della mente e al contempo della Seconda guerra mondiale, seguendo il filo rosso di un sussurrato sentimento d’amore. Protagonista Filippo Scotti, comprimari Roberto De Francesco, Armando De Ceccon, Chiara Caselli, Rita Tushingham e Massimo Bonetti, Morena Gentile, Mildred Gustafsson e Romano Reggiani. Presentato in anteprima all’81a Mostra del Cinema della Biennale di Venezia (2024), il film arriva nelle sale dal 6 marzo con 01 Distribution; la produzione è targata Duea Film, Minerva Pictures e Rai Cinema.
La storia. Bologna, 1945. Un giovane scrittore incontra casualmente un’infermiera americana e se ne innamora all’istante. Desideroso di ritrovarla, si spinge fino nel Mid West con la scusa delle ricerche per un romanzo. Di lei, però, non ci sono tracce; si parla di una misteriosa sparizione nelle campagne emiliane, per mano di un killer seriale. Il giovane fa così ritorno in Italia e inizia a seguire il processo al presunto “mostro”. Un viaggio ipnotico tra paure e ossessioni…
Con oltre cinquanta film all’attivo tra cinema e televisione, Pupi Avati recupera un genere narrativo a lui caro, il thriller-horror gotico, sperimentando un tracciato nuovo: si appropria per la prima volta del bianco e nero componendo in verità un racconto che ha il sapore di un noir d’altri tempi, quelli propri della Hollywood classica e riconducibili all’eleganza affilata di Alfred Hitchcock. Avati ama mettersi in gioco, sperimentare soluzioni visive e narrative, ma anche utilizzare delle sue marche stilistico-poetiche. Nel film “L’orto americano”, infatti, torna forte quella sua malinconia sentimentale, quel desiderio amoroso garbato e gentile, più volte messo in racconto nella sua filmografia come nei più recenti “Lei mi parla ancora” (2021) e “La quattordicesima domenica del tempo ordinario” (2023). “L’orto americano” è un’opera acuta e raffinata, che per i temi in campo risultacomplessa, problematica, per dibattiti.