Faccia a faccia con il dolore. In sala “L’amico fedele. The Friend” e “Scomode verità”
sabato 7 Giugno 2025
Un articolo di:
Sergio Perugini
Accogliere il dolore e attraversarlo. Andare oltre. È il filo tematico che accosta due titoli in sala. Anzitutto il dramma esistenziale “L’amico fedele. The Friend” scritto e diretto da Scott McGehee e David Siegel, dal romanzo omonimo di Sigrid Nunez, con Naomi Watts e Bill Murray. È il viaggio interiore di una scrittrice newyorkese che si ritrova ad accudire un alano gigante, dono dall’amico-mentore scomparso. Un film che scandaglia il lutto, il dolore della perdita, ma anche il legame speciale tra uomo e cane, quella corrispondenza d’affetto profonda che cambia la vita e spinge a riconciliarsi con essa, con i suoi strappi. Un film introspettivo ed elegante, puntellato da note dolenti e luminose. Ancora, “Scomode verità” (“Hard Truths”) firmato dal regista britannico Mike Leigh, con una straordinaria Marianne Jean-Baptiste nei panni di una donna caduta nella vertigine della solitudine e della depressione, incapace di chiedere aiuto ma solo di gridare ferocemente il suo tormento. Un film giocato sulla tensione emotiva ed esistenziale, sull’incapacità di salvarsi e di trovare una via di riconciliazione.
“L’amico fedele. The Friend” (Cinema, 05.06)
Non siamo dalle parti di “Hachiko” (2009) né di “Io & Marley” (2008), dolci film tira-lacrime sul legame uomo-cane. “L’amico fedele. The Friend” diretto da David Siegel e Scott McGehee è sì un’ode al legame speciale tra cane e padrone, ricco di sfumature avvolgenti, ma è anche un film sulla caduta nel dolore, nella disperazione per la morte di una persona cara, uscita di scena anzitempo e in maniera inaccettabile; un’opera sul rimettersi in piedi, in partita con la vita, in cerca di nuove possibilità. Siegel e McGehee – tra i loro lavori “Quel che sapeva Maisie” (2012) – sono gli autori anche del copione, dall’omonimo romanzo di Sigrid Nunez (suo è anche “Attraverso la vita”, portato al cinema nel 2024 da Pedro Almodóvar con il titolo “La stanza accanto”). Protagonisti l’ottima Naomi Watts (anche produttrice) e il sempre acuto Bill Murray. La storia. New York, oggi. Iris è una scrittrice bloccata nel suo lavoro. Tiene corsi per laboratori di scrittura sulla scia del suo mentore, il noto autore Walter. Un giorno viene raggiunta dalla notizia dell’improvvisa morte dell’uomo, che inspiegabilmente ha deciso di togliersi la vita. La donna non capisce, non ne accetta la scelta; in più, oltre alla presenza ingombrante di dolore e sensi di colpa, si trova a gestire il cane dell’amico, l’alano Apollo. Iris non ha mai avuto un cane e Apollo non è un cane qualsiasi, perché le sue misure sono esagerate e in più l’animale sperimenta uno stato depressivo. A questo si aggiungono un blocco creativo che affligge le sue giornate e minacce moleste del suo condominio, che vieta i cani nel palazzo…
“Abbiamo entrambi amato il libro – racconta il regista McGehee – È una bellissima e delicata riflessione sulla scrittura, sulla vita a New York e sull’elaborazione del lutto. Riesce a toccare molti temi profondamente umani, e c’è questa storia col cane che ci ha completamente conquistati”. Vincitore del National Book Award, il libro della Nunez era difficile da rendere sullo schermo, perché spesso la narrazione è interiore, tra la protagonista e l’amico scomparso. “L’amico fedele. The Friend” trova un buon compromesso tra i due pilastri tematici della storia: da un lato l’accettazione della morte, dall’altro il valore del legame con l’alano Apollo, che ridona vita nuova alla protagonista. Sulle prime Iris è assalita da eventi che non ha scelto. Non può e non vuole accettare la morte dell’amico-mentore Walter, soprattutto perché non comprende le ragioni del suo gesto, del suo suicidio; in più l’uomo le ha lasciato un compito gravoso, dare una casa al suo cane Apollo, lei che ha un piccolo appartamento nel cuore di New York dove gli animali non sono ammessi. In più ci si è messo anche l’editore, che vorrebbe che Iris risistemasse gli scritti di Walter per una pubblicazione postuma. Per Iris è troppo, si sente mancare l’aria e non vede via d’uscita. E poi c’è Apollo, un cucciolo che proprio cucciolo non è: un alano di dimensioni imponenti, che ha due occhi tristi, provato dall’abbandono per la scomparsa del padrone. Iris e Apollo dovranno imparare a conoscersi, a convivere e a fidarsi l’uno dell’altra per poter andare avanti. E quella che sembra una coabitazione improbabile e complicata si rivela in realtà curativa, un’occasione per aggrapparsi alla speranza e alla tenerezza. È un nuovo inizio, emozionale e creativo. Iris riprende a scrivere, a sorridere, e Apollo non avverte più il senso di vuoto. Ogni giorno per loro è una scommessa, una conquista; è vita che pulsa, che va avanti.
Film acuto e raffinato, elegante per messa in scena e sfumature narrative; appesantito un po’ dalla durata e da lungaggini, il racconto è comunque un inno alla vita che riparte, da abbracciare anche quando vira sul plumbeo. Consigliabile, problematico-poetico, per dibattiti.
“Scomode verità” (Cinema, dal 29.05)
Il regista britannico Mike Leigh in oltre cinquant’anni di carriera si è distinto per racconti di matrice sociale e intimista, scavando nell’animo umano, senza timore di trovarsi faccia a faccia con inquietudini e amarezze. Tra i suoi film più noti “Segreti e bugie” (1996, Palma d’oro al Festival di Cannes), “Il segreto di Vera Drake” (2004, Leone d’oro alla Mostra di Venezia), “Another Year” (2010) e “Turner” (2014, sul pittore William Turner). Nei cinema da fine maggio 2025 con Lucky Red “Scomode verità” (“Hard Truths”), presentato al 49° Toronto Film Festival (2024), che ricompone il sodalizio artistico tra il regista e l’attrice Marianne Jean-Baptiste dopo “Segreti e bugie”. Un’opera sul senso di frustrazione e impotenza verso una vita spiaggiata su un binario morto, tra genitorialità, matrimonio e legami familiari. La storia. Londra oggi, Pansy è una casalinga cinquantenne che trascorre le sue giornate tra il letto e il divano, dedicandosi alla pulizia maniacale della casa. Con lei vivono il marito Curtley, che ha un’impresa edile, e il figlio maggiorenne Moses, che ancora non ha trovato un indirizzo di vita. Pansy è esausta e urla tutto il suo dolore e nervosismo ai suoi cari, compresa la sorella Chantelle. Nel giorno della Festa della Mamma le due sorelle si ritrovano per andare al cimitero e da lì si apre un vaso di pandora torrenziale…
Mike Leigh ci consegna un altro ritratto femminile di grande intensità. La sua protagonista Pansy, che Marianne Jean-Baptiste interpreta magistralmente, è una donna accesa dal dolore e dallo sconforto, che spesso deborda in risentimento. Pansy è infelice, e non riesce più a contenerlo. Rompe gli argini emotivi e scarica tutto su chi le è accanto. Investe il marito Curtley di lamentele per i suoi silenzi ingombranti, per non aver amato e formato il figlio a una vita adulta capace e responsabile; attacca il figlio Moses perché troppo indolente e scansafatiche, avviato a un’esistenza rovinata e infelice (come la sua). Ancora, Pansy ha parole dure e lacrime pesanti anche nei confronti della sorella Chantelle, che è del tutto diversa, ilare e dal sorriso leggiadro. Pansy e Chantelle non si sono aiutate nel corso della vita, soprattutto durante la malattia della madre. Tutto il peso è finito sulle spalle di Pansy che si è dovuta rimboccare le maniche, scivolando così in una spirale di scelte e sacrifici sbagliati. Il colloquio con la sorella, tra cimitero e casa, si fa rivelatore: Pansy legge chiaramente, lo dice a gran voce, i suoi errori, la situazione esistenziale in cui è piombata e da cui non riesce più a sottrarsi. Si sente in gabbia, e lo spettatore respira con lei un senso di claustrofobia estenuante. In questo Mike Leigh raggiunge il suo obiettivo, facendoci sperimentare la condizione di chi vive nella sofferenza, nell’incomprensione.
“Scomode verità” è un film denso e acuto, percorso però da vibranti tensioni negative che oltre a inquinare l’animo della protagonista si attaccano all’epidermide dello spettatore. Un’opera attenta, ma anche sfidante e stancante, che descrive il mal di vivere senza però offrire appigli o soluzioni. Complesso, problematico, per dibattiti.