
Interpreti e ruoli
Toni Servillo (Vincenzo Giordano Orsini), Salvo Ficarra (Domenico Tricò), Valentino Picone (Rosario Spitale), Tommaso Ragno (Giuseppe Garibaldi), Giulia Andò (Assuntina), Leonardo Maltese (Ragusìn), Vincenzo Pirrotta (Sovrastante), Clara Ponsot (Rose), Filippo Luna (Sindaco di Sambuca), Rosario Lisma (Parroco di Sambuca), Daniele Gonciaruk (Nino Bixio), Pascal Greggory (Jean Luc Von Mechel), Giulia Lazzarini (Maddalena Orsini), Claudio Collovà (Giuseppe La Masa), Giovanni Anzaldo (Bosco), Andrea Gherpelli (Veterano bergamasco), Federico Pasquali (Giovane ligure), Matteo Bianchi (Giovane toscano), David Meden (Giovane veneto)
Soggetto
5 maggio 1860, Giuseppe Garibaldi affida al colonnello Vincenzo Giordano Orsini il reclutamento dei volontari di cui ha bisogno per liberare la Sicilia dai Borbone e unire il Paese. Tra questi Domenico e Rosario, siciliani, emigrati da molti anni, desiderosi di tornare sull’isola. Appena sbarcati a Marsala, i mille, perché di loro si tratta, devono affrontare le truppe francesi: Domenico e Rosario scampano al fuoco nemico e disertano imbarcandosi in un viaggio attraverso la Sicilia, il primo alla volta del suo paese natio per sposare la fidanzata che ha lasciato ad attenderlo dieci anni prima, il secondo, senza una meta precisa, vuole solo fuggire da chi ha scoperto i suoi trucchi di giocatore d’azzardo. Il destino, però, li riconsegna al colonnello Orsini.
Valutazione Pastorale
A quasi tre anni dal successo di “La stranezza” (quattro David di Donatello e un Nastro d’argento nel 2023) Roberto Andò ripropone il trio Toni Servillo, Salvatore Ficarra e Valentino Picone per un racconto “siciliano” che intreccia Storia e finzione. Oggi, Giuseppe Garibaldi e i Mille tra le cui fila si trovano “per caso” due sprovveduti che hanno tutt’altri obiettivi; allora, il viaggio di Luigi Pirandello in Sicilia per il compleanno di Giovanni Verga e il suo incontro con due teatranti impegnati nell’allestimento di uno spettacolo.
La storia. Domenico Tricò (Salvatore Ficarra), da dieci anni lontano dalla Sicilia, vuole tornare per sposare l’indimenticata fidanzata; Rosario Spitale (Valentino Picone), anche lui siciliano, vive da anni in Veneto, è un baro di professione e vuole tornare a Palermo per sfuggire alla giustizia che ha messo gli occhi su di lui. Con l’idea di approfittare di un passaggio dai garibaldini, si presentano come volontari. Vengono così ingaggiati dal colonnello Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo), militare di lungo corso nell’esercito francese, un palermitano di nobili origini che ha scelto di seguire Garibaldi.
Roberto Andò, regista, sceneggiatore e scrittore palermitano, governa con indubbia maestria un racconto che procede su un doppio binario: da un lato le avventure tragicomiche dei due siciliani in fuga, poveri diavoli affamati, spaventati, vigliacchi e furbi, che pensano solo a sopravvivere, e si trovano senza volerlo a vivere uno dei momenti più significativi della nostra storia: “O si fa l’Italia o si muore”. Eppure, anche loro, che il marchio di disertori ha destinato all’oblio, alla fine troveranno una scintilla di coraggio e, tra l’incredulità, l’ammirazione e il rimorso del colonello, sapranno fare la differenza. Ma poi, quando le battaglie finiscono e si torna alla normalità, bisogna sopravvivere. Dall’altro la coralità delle imprese dei garibaldini, tra scontri sanguinosi, ripiegamenti e fughe, a volte accolti e acclamati come liberatori, altre semplicemente tollerati o addirittura respinti dai siciliani, popolo “che si rivela più nei silenzi e nelle parole che non dice”. Come ricorda Orsini, al quale il regista affida le (proprie) riflessioni sulla Sicilia, sulla Questione Meridionale, sul sogno dell’unità d’Italia e sulle reali possibilità che questa rivoluzione possa cambiare la vita delle persone più semplici, che vivono insieme alle pecore, hanno paura, ma sono anche capaci di condividere il poco che hanno. Ma che senso può avere la parola libertà per chi ha vissuto sempre “sotto padrone”? Orsini /Andò pone la domanda e lo spettatore, forse, può cercare una risposta tra le pagine scritte da un altro siciliano illustre, Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Nella sua opera più famosa, “Il Gattopardo”, fa dire al protagonista, don Fabrizio Corbera, principe di Salina: “noi Siciliani siamo stati avvezzi da una lunghissima egemonia di governanti che non erano della nostra religione, che non parlavano la nostra lingua, a spaccare i capelli in quattro. Se non si faceva così non si sfuggiva agli esattori bizantini, agli emiri berberi, ai viceré spagnoli. Adesso la piega è presa, siamo fatti così. Avevo detto ‘adesione’ non ‘partecipazione’. In questi sei ultimi mesi, da quando il vostro Garibaldi ha posto piede a Marsala, troppe cose sono state fatte senza consultarci perché adesso si possa chiedere a un membro della vecchia classe dirigente di svilupparle e portarle a compimento; adesso non voglio discutere se ciò che si è fatto è stato male o bene; per conto mio credo che parecchio sia stato male; ma voglio dirle subito ciò che Lei capirà da solo quando sarà stato un anno fra noi. In Sicilia non importa far male o far bene: il peccato che noi Siciliani non perdoniamo mai è semplicemente quello di ‘fare’”. “L’abbaglio” è un film avvincente, un racconto drammatico con lampi d’ironia e comicità, che funziona grazie alle interpretazioni sempre convincenti dei tre protagonisti, senza eccessi o sbavature, né sul versante comico, né su quello drammatico. Ottimi anche Tommaso Ragno, nel ruolo di Garibaldi e Giulia Andò in quello di Assuntina, senza dimenticare Giulia Lazzarini, la vecchia madre del Colonnello Orsini, una breve scena intensa e commovente. “L’abbaglio” è consigliabile, problematico, adatto per dibattiti.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare nella programmazione ordinaria e in altre occasioni anche come possibilità di approfondire una delle pagine più significative del Risorgimento.