
Il film è in distribuzione sulla piattaforma Netflix
Interpreti e ruoli
Alessandro Preziosi (Nick), Claudia Pandolfi (Tesla), Ludovica Martino (Carolina), Francesco Cavallo (Sebastiano), Stella Egitto (Emma), Caterina Murino. (Giada)
Soggetto
Roma oggi, Nick e Tesla sono due fratelli che non si vedono da vent’anni. La morte del padre li costringe a ritrovarsi e convivere per un anno nella casa di famiglia prima di poterla vendere, in accordo le disposizioni testamentarie volute dal genitore...
Valutazione Pastorale
Al suo secondo lungometraggio, prodotto da Netflix con Mediaset e Lotus-Leone Film Group, il regista romano Roberto Capucci con “Mio fratello, mia sorella” mette a tema il rapporto fratello-sorella in una cornice familiare segnata da silenzi, irrisolti e diffuso bisogno di ritrovarsi. Nel racconto occupa un posto centrale anche la schizofrenia, le difficoltà di un genitore nella gestione della malattia di un figlio e al contempo il bisogno di non chiudere le porte al domani, a una possibilità di vita nel segno dell’opportunità. La storia. Roma oggi, Nick (Alessandro Preziosi) e Tesla (Claudia Pandolfi) sono due fratelli che non si vedono da vent’anni. La morte del padre li costringe a ritrovarsi e, per un volere del genitore in un lascito testamentario, a vivere nella casa di famiglia per un anno prima di poterla vendere. Una convivenza segnata anche dalla presenza dei figli di Tesla, Carolina (Ludovica Martino), ventenne alla ricerca del suo futuro nella moda, e Sebastiano (Francesco Cavallo), violoncellista di talento affetto da schizofrenia. La convivenza diventa l’occasione per riannodare i fili di un rapporto sfibrato, ma mai del tutto perso; inoltre, grazie allo sguardo anticonvenzionale di Nick, Tesla imparerà a ricentrare il dialogo con i figli. “Mio fratello, mia sorella” è un racconto drammatico imperfetto, ma efficace. Funziona, infatti, nel voler scandagliare gli irrisolti dell’animo, le frustrazioni di un adulto, soprattutto negli onori-oneri genitoriali. Il contributo di Preziosi e Pandolfi è significativo nel dare corpo, sfumature, alla storia tra realismo e profondità. È da apprezzare, inoltre, il desiderio del regista di affrontare il tema della schizofrenia in famiglia, sia facendosi affiancare da una consulenza medico-scientifica puntuale sia sottraendosi a degli stereotipi ricorrenti. Detto questo, la narrazione non resta sempre compatta, inciampando qua e là in istantanee ad alta intensità drammatica che non trovano piena giustificazione. Buone dunque le intenzioni, ma il risultato non è pienamente convincente. Nell'insieme l'opera è valida e utile a raccontare il percorso di riconciliazione familiare mettendo in campo verità, ascolto e conforto. Dal punto di vista pastorale “Mio fratello, mia sorella” è consigliabile, problematico e adatto per dibatti.
Utilizzazione
Il film è da utilizzare in programmazione ordinaria e in successive occasioni di dibattito.